Ambiente originario
Le prime tracce del borgo di Bortigiadas risalgono
al 1300 e nonostante sia uno dei comuni più antichi del territorio
è sempre stato un centro molto piccolo che non ha mai avuto un vero sviluppo. In
origine il comune comprendeva un vasto territorio confinante col fiume Coghinas, col comune di
Aggius e con quello di Tempio. La posizione delle case sembrano incollate su
montagne impervie con vie strette e addossate una all’altra. Come piazze ci
sono gli incroci delle strade. Solo recentemente si è costruita una piazza
ampia per dare respiro alle feste e agli incontri della popolazione.
Nel 1700, più
che ora, Bortigiadas viveva di agricoltura, pastorizia con qualche artigiano:
il muratore, il falegname, il fabbro ferraio. Era compito del fabbro confezionare zappe,
roncole, aratri, vomeri e quant’altro serviva per l’agricoltura. Un lavoro
durissimo era la confezione e la sistemazione dei ferri per i cavalli e per i
buoi impiegati nei lavori dei campi. A un buono e svelto artigiano quest’ultimo
lavoro richiedeva ore di attenta applicazione poiché ogni animale aveva i piedi
con la propria caratteristica. Fino a
metà del 1900 non si aveva a disposizione l’energia elettrica e si lavorava a
mano. Il primo lavoro consisteva nel preparare il carbone che non fosse troppo
grande ma neppure troppo piccolo. Il
tipo di carbone preferito era il carbon fossile. Vicino al braciere era
collocato il grande mantice per fornire l’aria e accendere il carbone che
copriva il ferro da riscaldare ed essere modellato. Movimentare il mantice era
la gioia dei ragazzi che a turno dondolavano su e giù aggrappati a una corda come si usa per suonare le campane. Il fabbro che
non aveva a disposizione i ragazzi, doveva aggiungere quest’ultimo servizio al lavoro già
tanto duro che gli competeva. Più tardi arrivò la forgia prima manuale e poi elettrica che sostituiva
il grande monumento del mantice. Anche questa innovazione richiedeva l’attenzione
e il servizio dei ragazzi che permetteva all’artigiano di riposarsi per qualche
secondo. Essendo tutta l’economia basata sull’agricoltura e non essendoci
ancora mezzi meccanici per lavorare la terra, ma solo animali da traino, si
richiedeva una professione di sostegno che fornisse tutti i mezzi per
realizzarla. Il fabbro ferraio, appunto.
Questa era la professione che il signor Andrea Cossu
agli inizi del 1800 aveva ereditato dai suoi avi. Non avendo la possibilità di
andare oltre nel tempo, facciamo risalire a questo periodo la dinastia dei
Cossu Fabbri.
Gli Antenati
Il capostipite nacque e visse a Bortigiadas,
esercitando la professione in piccole case e nel piazzale dell’ officina senza
alcuna pretesa se non quella di soddisfare i clienti e di non far mancare il
necessario alla propria famiglia. Nella metà dell’ottocento Sebastiano sposò
Stefanina Achenza di Santa Maria Cohinas trasferendosi, questa, a Bortigiadas nel borgo del martito come di
consuetudine a quei tempi. La coppia ebbe cinque figli dei quali due morirono
in tenera età. I sopravvissuti sono Giovanni Martino, Andrea e Giovanni Maria.
Anche Sebastiano morì giovane, lasciando
i figli ancora bambini. Andrea andò a vivere col nonno paterno dal quale imparò
la professione di fabbro ferraio. In seguito tutta la famiglia si trasferì a
Santa Maria Coghinas dai familiari della signora Stefanina. Qui Andrea formò la
sua famiglia e impiantò un suo laboratorio, divenendo uno dei fabbri più
apprezzati. Come i suoi padri anche Andrea si premura di tramandare la dura
attività ai figli Sebastiano e Leonardo. L’utenza del centro di Santa Maria
Coghinas divenne pian piano insufficiente per il lavoro dei tre e Sebastiano e
Leonardo dovettero cercare altrove il lavoro. Si trasferirono il primo a
Viddalba, il secondo si trasferì a Valledoria, a Sedini e finalmente a Tergu.
Sebastiano arrivò a Viddalba giovanissimo nel 1923 e nel 1928, quando era già conosciuto
nella zona come un buon artigiano laborioso, puntuale e svelto, si unì in
matrimonio con Giovanna Maria Spano nativa di Giuncana, allora frazione di
Bortigiadas e al momento dimorante a Viddalba
per questioni di lavoro. Della numerosa famiglia di Sebastiano due dei figli,
Tommaso e Pasquale Andrea, continuarono la professione.
La lavorazione del ferro
Negli anni sessanta con questi ultimi si ebbe la
trasformazione dell’attività. Nella metà del secolo ventesimo, seguendo
l’evolversi della società, si è passati da una produzione di mezzi tipicamente
agricola alla lavorazione del ferro battuto, producendo porte, finestre,
ringhiere e scale in ferro.
A venti anni Tommaso, quasi presago dell’evolversi dell’attività, con
l’invito di Saba, un artigiano di Ozieri, si trasferisce in questo centro per
imparare a saldare. Qui nello spazio di tempo di alcuni mesi il giovane impara
bene l’arte del saldatore e di sistemare le biciclette. A Viddalba non è ancora
arrivata l’energia elettrica per cui si deve saldare con la fiamma ossidrica prodotta
dal carburo e ossigeno. Mentre il padre Sebastiano continua a lavorare il ferro
col metodo di sempre e per le esigenze di sempre, Tommaso e Pasquale Andrea
inseriscono nell’antica professione le nuove esigenze. Per anni ancora si sente
dalla mattina presto fino alla sera tardi il tintinnio del martello
sull’incudine e sul ferro incandescente
come una musica con i ritmi propri. Chi era abituato a quella musica,
dal battito del martello distingueva bene cosa stava elaborando quell’uomo
minuscolo e nerbuto accompagnato dai figli che aprivano alle nuove esigenze.
Per oltre un decennio si sarebbe continuato a modellare il ferro per ricavarne
porte, finestre, ringhiere, inferriate e, finché circolavano buoi e cavalli
utilizzati nella campagna, i ferri per difendere i loro zoccoli.